Verso una moda più sostenibile | water(on)line

2022-10-27 10:47:21 By : Mr. Zeping Lin

Inserito da Camilla Bernardoni | Lug 19, 2021 | Consumi & Costumi, Politica & Economia, Previsioni & Tendenze | 0 |

La moda è una delle industrie più inquinanti in assoluto. Nell’ambito del Festival della Green Economy, imprenditori (Camomilla Italia, Manteco, Marzotto Lab, Take Off Ltd) ed esperti del settore fashion (Francesca Romana Rinaldi), hanno dibattuto su come rendere il settore moda davvero più sostenibile.

Tracciabilità, trasparenza e circolarità: questo risulta essere il mix di ingredienti che può rivoluzionare e cambiare la filiera della moda. Il triangolo sistema moda – consumatore – governi dovrà però necessariamente fare squadra per effettuare una transizione che sarà complicata ma improrogabile. Da un lato, le aziende fashion devono progettare a monte un processo produttivo di tipo circolare e ad impatto ambientale minimo. Verosimilmente occorre che cittadini-consumatori abbandonino l’usa e getta e abbraccino la filosofia del “less is more”, cioè acquistare meno e meglio.

Ridare valore a vecchi capi e ad accessori vintage, dare una seconda vita a tessuti di scarto: questa è un’azione sostenibile. 

“Avendo lavorato nel settore fashion – racconta Alona Andruk, fondatrice di Take Off Ltd – ho visto con i miei occhi magazzini colmi di vestiti invenduti, che dopo mesi o anni sono destinati allo smaltimento. Questo mi ha portato a cercare una soluzione che desse una seconda vita alle giacenze delle industrie di moda. Così nasce Take Off: acquistiamo le rimanenze di magazzino dalle case di moda e delle società di abbigliamento, per poi distribuirle e rivenderle soprattutto nei Paesi dell’est Europa, come l’Ucraina, dove riforniamo negozi di grande metratura con articoli d’abbigliamento di alta qualità – made in Italy e di marca – ad un prezzo conveniente e sostenibile”.

“Manteco nasce in seguito ad un’intuizione di mio nonno – spiega Marco Mantellassi, CEO di Manteco – che decise di rigenerare vecchi indumenti e coperte militari che altrimenti sarebbero state buttate e così, nel 1941 – quando ancora il termine sostenibilità non esisteva – creò la sua prima filatura. Ancora oggi siamo un’azienda tessile che produce filati sostenibili e tessuti di qualità per il settore moda: recuperiamo le rimanenze, le rigeneriamo, riportandole a materia prima, poi a filato e infine a tessuto. Abbiamo perseguito la stessa filosofia del nonno, quella del non buttare via niente”.

“È indispensabile introdurre normative che impongano regole e politiche di trasparenza e tracciabilità di filiera. La tracciabilità infatti – spiega la Prof.ssa Rinaldi, coordinatrice del Monitor for Circular Fashion SDA Bocconi School of Management e autrice del libro Fashion Industry 2030 – permette di spiegare in maniera chiara e semplice i claim di sostenibilità che troviamo sul cartellino. È necessario quindi studiare delle tecnologie che possano tracciare l’identità della fibra: ogni capo d’abbigliamento avrebbe una sorta di passaporto, in grado di informare correttamente il consumatore sul reale impatto ambientale del potenziale acquisto.”

Grazie a queste preziose informazioni, i cittadini-consumatori, che hanno un ruolo attivo in questa missione, potrebbero riconoscere (e sostenere) i brand che svolgono azioni concrete in termini di sostenibilità ambientale da quelle che fanno solo greenwashing.

“Essendo un’azienda del settore retail – spiega Ilaria Sorrentino, HR e responsabile rete vendita Camomilla Italia – abbiamo risentito molto della pandemia. A causa delle chiusure, c’è stato un drastico calo delle vendite e, di conseguenza, un aumento dei prodotti invenduti. L’accumularsi delle rimanenze in magazzino ci ha spinto quindi a cambiare il nostro modello di business e ad abbracciare un’idea di continuità e circolarità: ReMix è il nostro progetto di upcycling che, a partire dal recupero di vecchie collezioni, punta sulla rivalorizzazione dei capi invenduti e li remixa, appunto, tra loro per ideare delle nuove capsule.”

Perché Camomilla Italia ha deciso di optare per l’upcycling? Il recycling (riciclo) non sempre si rivela la via più sostenibile: prevede la lavorazione e trasformazione del prodotto/materiale di scarto per la realizzazione di un nuovo articolo. Ciò comporta un determinato consumo di energie ed emissioni, seppur minore rispetto alla produzione ex-novo. Inoltre, spesso, i prodotti riciclati non sono più riciclabili oppure sono di qualità inferiore, il che accorcia la vita del prodotto in questione e interrompe la circolarità del processo.

L’upcycling, invece, ha un impatto ambientale quasi nullo poiché consiste nel semplice recupero e nel riutilizzo creativo del rifiuto in questione (in questo caso dei vestiti).

“Essere sostenibili significa privilegiare materie prime e fibre naturali – sottolinea Luca Vignaga, amministratore delegato di Marzotto Lab, azienda tessile vicentina specializzata nella produzione di tessuti sostenibili. Infatti, riciclare un capo d’abbigliamento, ad esempio, in poliestere comporta un altissimo consumo di energie ed emissioni. Ecco perché è davvero prezioso anche il contributo dei clienti: bisogna iniziare ad accettare ed apprezzare i possibili difetti naturali dei prodotti realizzati con materie prime sostenibili. Questo implica un cambio di prospettiva: non sono difetti, al contrario rendono il nostro tessuto o capo unico! Inoltre, dobbiamo tornare – proprio come facevano i nostri nonni – a prenderci cura dei capi acquistati, per contribuire ad allungare il più possibile la loro vita.”

Per colorare i tessuti Marzotto Lab utilizza coloranti naturali, derivati dalle erbe. Non essendo un prodotto chimico, però, la durabilità del colore sui tessuti è minore e questo rappresenta un problema per alcuni dei suoi clienti. Marzotto Lab sta quindi investendo nella ricerca affinché si riesca a realizzare un colorante naturale fissante e di maggiore durata. Tuttavia, se si vuole andare tutti nella stessa direzione, è necessario anche un cambio di mentalità da parte di clienti e consumatori.

https://www.youtube.com/watch?v=USdn4qInUSc

https://www.youtube.com/watch?v=4W4RfBBH79U

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a cura degli studenti del corso di laurea in Giornalismo e Cultura Editoriale – Parma

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